Brano tratto dal libro "una ragionevole strage" di Mireille Horisinga-Renno, dove l'autrice descrive le uccisioni tramite gassaggio di malati di mente nell'ambito del programma nazista Aktion t4
Dall'alto comignolo del castello si leva un denso fumo nero. Da ore ormai le volute si propagano a chilometri di distanza. «L'odore della carne bruciata», pensano gli abitanti del paese, che ogni giorno vedono lo stesso pesante fumo cinereo invadere il loro cielo... Il cielo di Alkoven, in Austria. A volte, ciuffi di capelli o di peli si mescolano al pennacchio di fumo che esce dal comignolo, e vanno a depositarsi sui campi vicini, dappertutto - persino sulle aiuole di viole del pensiero gialle e bianche e sugli iris, nei giardini dei dintorni. Altre volte le ceneri sputate fuori dal comignolo del castello vengono spinte dal vento, entrano nelle case, s'infiltrano nei polmoni, penetrano nelle coscienze. Allora gli abitanti di Alkoven, disgustati, serrano ermeticamente porte e finestre, per evitare che quelle esalazioni morbose si insinuino nella loro tranquilla intimità tappano tutte le fessure per evitare che le ceneri si posino sui loro mobili - e si chiudono in casa, protetti a tripla mandata dietro il fragile schermo delle loro certezze, polverizzate nonostante i loro sforzi; a poco a poco assimilano il sapore amaro dell’irreparabile. Per i placidi austriaci che vivono in questo paesino, quelli del castello sono dei fanatici, dei forestieri venuti dalla Germania che è meglio lasciar stare. Se si vogliono evitare fastidi, bisogna innanzitutto non mischiarsi a quella gente! Circolano voci orribili su ciò che succede al castello. Soprattutto, soprattutto preservare un'aura di innocenza. Hanno troppa paura di sapere.
Ogni volta che arriva in paese un lungo pullman Mercedes grigio, dai vetri oscurati o con le tendine abbassate, non passa molto tempo e il comignolo del castello comincia a riversare quelle spesse nuvole nere e quel penetrante lezzo di morte. A volte arrivano anche tre pullman al giorno. E tutti ripartono vuoti. Come un giorno d'inverno senz'anima, senza luce né speranza...
È la primavera del 1941. Vinzenz Nohel e Hermann Merta sono allo stremo delle forze. I loro volti sembrano segnati da sventure di ogni genere e i loro occhi hanno quel bagliore vitreo, quasi delle lacrime, che hanno gli individui a cui la vita non ha fatto sconti. Questi uomini alla deriva si sentono la terra mancare sotto i piedi; giorno dopo giorno annegano nell'alcool e nella disperazione. Il «capo addetto alla cremazione» e il suo assistente non hanno più paura di ciò che riserva il futuro - che cosa potrebbe succedere loro di peggio di quell'incubo che si ripete tutte le mattine? Viaggio dopo viaggio, i pullman non cessano di scaricare il loro carico, sommergendo Nohel e Merta - nel grande Reich millenario bruciare il prossimo è diventato un mestiere, il loro mestiere! A volte ne arrivano centocinquanta alla volta, di «malati». La camera a gas non è abbastanza capiente per tutti quei corpi ancora animati da pensieri, forse abitati da progetti - e ora in preda a una paura smisurata e viscerale, a un tracollo indefinibile... Allora il personale li spinge senza riguardo, per riuscire a farne entrare il più possibile. E tutti questi individui gridano, si affannano, si dimenano in un estremo e patetico tentativo di sfuggire all'ineluttabile - alla loro eliminazione lucidamente programmata.
Quando Merta apre la porta li trova tutti in piedi, in un inestricabile groviglio di braccia e gambe, la bocca spalancata, gli occhi fuori dalle orbite rivolti in direzione della porta o al cielo, in un'ultima, straziante preghiera a un Salvatore muto - che alcuni, fino all'ultimo istante, si ostinano a implorare... Nohel aziona il ventilatore. Prima della guerra guadagnava appena per far vivacchiare la sua famiglia. È stato suo fratello, generale di brigata nelle SA, a fargli avere questo lavoro. È arrivato al castello un anno fa, il 2 aprile 1940. Ora guadagna 170 marchi al mese, ha vitto e alloggio assicurati e un'indennità mensile di 35 marchi per il servizio al forno crematorio. Quando torna per spegnere la ventilazione, un'ora dopo, i corpi sono ancora in piedi, schiacciati gli uni sugli altri. Nohel li trascina fuori dalla camera a gas e li butta nella camera funeraria. Gli addetti alla cremazione fanno fatica a tenere il ritmo del balletto dei pullman e dei gassaggi. Si possono cremare solo otto corpi alla volta. Per questo è impossibile aspettare che il lavoro sia terminato: quando le carni sono consumate, iniziano con gli otto corpi successivi. Il giorno dopo, quando Nohel e Merta riprendono servizio, il forno non si è ancora spento. Regna un fetore insostenibile: i corpi rimasti nel deposito mortuario cominciano a decomporsi e quelli nel forno non sono completamente carbonizzati. Da molto tempo il quarto di litro di grappa quotidiano concesso agli addetti alla cremazione non basta più per cancellare dalla loro memoria l'orrore di simili giornate. In paese, come al castello, l’odore del crimine appesta l’aria e avvelena le anime.